giovedì 26 febbraio 2015

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Il casermone sorge al centro di un quartiere popolare, lontano da qualsiasi zona della città con qualche attrattiva; l'edificio è talmente vecchio e malridotto che nemmeno ci passerei vicino, se non fosse per quell'imprinting indelebile che mi porta ancora, quando sono sovrappensiero, a chiamarlo "casa". Sono anni che non entro qui, eppure non è cambiato nulla, nemmeno il vecchio ascensore, la cui lentezza sembra fatta apposta per costringermi ad abbandonarmi nei ricordi. Così nei primi 2 piani ritorno il bambino che gioca con la spensieratezza di chi ancora non capisce in quale mondo limitato stia crescendo, poi al terzo quarto quinto, passata l'adolescenza, la gabbia diventa visibile, ed il carceriere assume il volto di colei che abita con te, lei stessa costretta dalla sua mediocrità in una prigione di routine e rifiuto della modernità, ricercata ignoranza che tu non vuoi, non puoi condividere, quindi tra il sesto ed il decimo ti affranchi, studi, ti ELEVI, ed alzandoti ti allontani da lei, con la quale senti di avere poco in comune, niente di cui parlare se non finendo, fra l'undicesimo ed il dodicesimo, in litigio per il suo ottuso rifiuto del mondo moderno, dell'utilizzo di cose per te semplici e quotidiane, per lei straniere e oscure, impossibili da decrittare; diventa inevitabile, come lo scorrere del 13-14-15 dietro il vetro, il tuo allontanamento prima fisico poi verbale, fino quando ricevi la telefonata, quella che ti dice che purtroppo la corsa è finita, si aprono le porte, ultimo piano. Suono il campanello che porta il mio cognome, mi apre lei stessa, mi guarda con gli occhi scavati, rossi di pianto; si mette da parte per farmi passare, poi mi guida al soggiorno, dove si siede al tavolo su cui poggia un oggetto per me familiare ma alieno al luogo: un portatile, peraltro aperto su una pagina di social network, un muto rimprovero per i miei pregiudizi nei confronti della capacità di modernizzarsi di colei che mi ha dato la vita, e sta perdendo la sua. Per soffocare il rimorso, devo parlare:
- Quanto tempo ti rimane?
- 3 mesi e 2 settimane, circa. Fino al 3 Settembre.
Una data precisa?
- Ma che malattia è?
- Non lo so di preciso, lo sai che non ci capisco molto...
- Ma che ti ha detto il medico?
- Non me l'ha detto il medico.
- E chi è stato?
Gira lo schermo verso di me:
- Ho trovato questo programma che si chiama "quanto tempo ti resta da vivere", dice che morirò il tre settembre... La tromba delle scale riecheggia del mio "vaffanculooooooooooooo!".